Quasi due anni fa, il 1° agosto 2015, ho salutato Luca, Marisa e le figlie dicendo: “L’anno prossimo ci sarò”. Grazie all’aiuto del Signore e con un pizzico di fortuna, oggi sono qui a raccontare un po’ di me e della mia storia. Mi stavo preparando per il viaggio più importante della mia vita. Destinazione Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia per essere sottoposta ad un trattamento salva-vita: il trapianto del midollo osseo. Il tutto è iniziato improvvisamente, in circa due settimane. Molta stanchezza, spossatezza, difficoltà a salire le scale, difficoltà a lavare e asciugare i capelli, pallore, difficoltà di concentrazione, insonnia, fastidiosi acufeni che iniziarono a diventare pulsanti. Non ho mai detto nulla a mia madre di come mi sentivo veramente. Sia io che mia madre giustificavamo la stanchezza e l’aspetto pallido con stress da studio, visto che mi stavo preparando per un concorso, studiavo da mattina a sera. Mancavano due mesi al concorso. Rimandavo la visita dall’otorino per gli acufeni e le analisi del sangue per non togliere tempo allo studio. Finché il 20 aprile del 2015 mi sono decisa ad andare a fare la visita e l’emocromo. Non era stress ma leucemia mieloide acuta di tipo M6. Non pensavo che esistessero tanti tipi di leucemia! Mi hanno trasferito d’urgenza al Centro di Ematologia dell’ospedale di Latina per iniziare i trattamenti chemioterapici. Durante il trasferimento guardavo il tetto dell’ambulanza, la sacca di sangue, mia madre con la divisa da lavoro, il suo sguardo terrorizzato, persa nei pensieri, mi stringeva la mano e chiedeva all’autista quanto tempo mancasse per arrivare mentre io piangevo, senza singhiozzare, con le lacrime che uscivano da sole. La prima notte in ospedale avevo paura di addormentarmi perché avevo capito che se avessi continuato a temporeggiare, a rimandare la visita e le analisi di lì a poco mi sarei addormentata senza più svegliarmi. La mia mente viaggiava alla velocità della luce. Ovviamente alla diagnosi non ho fatto i salti di gioia, ma subito dopo mi sono sentita come euforica, con l’adrenalina a mille. Non vedevo l’ora di iniziare questo lungo percorso. Fin dall’inizio mi sono sempre sentita una paziente non malata. “Non voglio compassione, non voglio sentirmi dire ‘oh poverina’… non voglio facce da funerale, né visite da funerale, né giorni tristi. Non sono morta! Chiaro!? Sono sempre io… Teresa. Comportatevi normalmente con me, come se la leucemia non ci fosse. Non trattatemi da malata, grazie”. Mi dissero che il percorso sarebbe stato lungo, molto lungo, con alti e bassi e non privo di rischi. Armata di anima e coraggio e di tanta pazienza e nutrita dalla speranza, ho superato i primi cicli di chemioterapia, ho visto il mio corpo cambiare, ho sentito i primi dolori. Ho visto i miei capelli cadere (onestamente la perdita dei capelli non è stata traumatica, anzi, mi piacevo molto senza capelli), ho iniziato a non sentire più il sapore del cibo. Ho superato la preparazione al trapianto, ho superato la radioterapia e gli altri cicli di chemioterapia e finalmente il 4 settembre ho iniziato l’infusione dei linfociti T regolatori, per poi completare l’infusione delle cellule staminali l’11 settembre 2015. La donatrice del midollo era stata mia madre. Che emozione il giorno del trapianto. Per mia mamma è stato un secondo parto, per me un secondo compleanno, una rinascita. Durante la settimana di trapianto non facevo altro che guardare la porta della mia camera di isolamento. Non vedevo l’ora che si aprisse per vedere entrare medici e infermieri con le sacche che contenevano le mitiche celluline, da me soprannominate le “belinducce” perché mia madre si chiama Belinda. Quando arrivavano le sacche, osservavo le gocce scendere una ad una nel deflussore. Dopo circa due settimane dal trapianto, le celluline del mio nuovo midollo hanno fatto capolino. Pian piano le cellule di mia madre hanno attecchito. Le camere 2 di sinistra e 8 di destra del reparto di trapianto del midollo osseo e l’appartamento a Residence Daniele Chianelli durante la preparazione al trapianto e dopo la dimissione dal reparto, sono state la mia casa a Perugia. Sono arrivata il 2 agosto 2015 e ho lasciato definitivamente l’appartamento il 22 giugno 2016. È vero quando dicono che con un poco di zucchero la pillola va giù. Deve esserci un lato positivo anche nella malattia. La malattia, la sofferenza, il dolore fisico, la vicinanza alla morte lasciano un segno indelebile. La mia visione della vita e delle cose è cambiata. Tutto è cambiato. Io stessa mi sento diversa. È stata una rinascita sia fisica che interiore. Mi voglio più bene ora di prima. Mi sento in pace. Amo la vita. Ogni giorno ringrazio il signore di essere viva, di sostenermi e di avermi dato quest’ altra opportunità. Sono molto emozionata mentre scrivo…per tanti motivi…per quello che è successo, per le persone che come me e con me hanno iniziato questo percorso ma non ce l’hanno fatta, per tutti i bambini che ho conosciuto stando al Residence Daniele Chianelli. Spero che queste mie parole possano aiutare qualcun altro che vive la malattia, ma anche chiunque altro si trovi in un momento di difficoltà. Spero con tutto il cuore che tutti stiano bene. Ringrazio e ringrazierò a vita, con tutto il mio cuore mia mamma. Non posso dire che mi manchi la vita di reparto, ma nonostante tutto non la dimenticherò mai. Non solo come esperienza di vita ma anche a livello affettivo. Porterò sempre nel mio cuore tutti coloro che in reparto mi hanno curata e coccolata e che continuano ad accompagnarmi in questo mio percorso: medici, infermieri, operatori sanitari, ai volontari, alle signore delle pulizie. Tutti, in egual misura, sono stati i miei angeli. Li adoro. E so anche che tutti loro mi vogliono un gran bene. Ma loro non sono stati gli unici angeli. Ho avuto la fortuna e l’onore di incontrare persone meravigliose, forti, altruisti, dolci, che hanno avuto la forza di trasformare il dolore per la perdita di un figlio in amore per il prossimo e impegno sociale per aiutare tanti come me. Grazie Luca, grazie Marisa, grazie Michela, grazie Angela, grazie Luciana e grazie Franco che con le vostre battaglie e i vostri sforzi avete reso possibile che io venissi curata lontana da casa mia, mi avete dato una casa dove mia mamma è potuta stare mentre io ero ricoverata, per starmi vicino. Oggi, a due anni dal trapianto, piano piano la salute e le forze ritornano. È un po’ come quando sboccia un fiore: i petali si aprono e lo si può vedere nel suo splendore. Certo è che ogni giorno è diverso dall’altro e ci sono sempre alti e bassi perché ho imparato che il post trapianto è tanto delicato quanto il durante, non solo da un punto di vista fisico ma anche morale e psicologico. Non voglio cancellare i momenti duri perché sono sta proprio questi momenti a tirare fuori il meglio di me. Mi sento una tipa tosta, sicuramente di più della Tere di prima.
Teresa Tirilli