Giovanni Lanuto
La Spezia, 10 Dicembre 2007
Egregio Professore, mi chiamo Giovanni Lanuto e le invio una lettera che avrei voluto scrivere molto tempo fa ma che non ho mai buttato giù, in attesa di trovare l’occasione giusta per farlo.
Ogni volta che ho preso in mano carta penna, infatti, mi sono domandato se è opportuno farlo o se, forse, era meglio desistere, evitando così di disturbare sottraendo tempo prezioso alle sue giornate. Oggi, invece, sono finalmente deciso, certo di aver trovato la giusta occasione per rivolgermi a lei e a tutti i suoi collaboratori che tanto avete fatto per me in passato.
A questo punto, credo sia d’obbligo fare un ordine per spiegare i motivi che mi hanno spinto a scrivere. Comincio il mio racconto dal gennaio 99 quando, trovandomi in licenza per alcuni giorni, (faccio l’ufficiale di Marina e passo lunghi periodi lontano da casa) mi recai in ospedale per un banale controllo della vista.
Sono invece ricoverato d’urgenza e con altrettanta urgenza, nel giro di poche ore, trasferito dal piccolo ospedale di Rieti al più attrezzato policlinico di Perugia. Diagnosi: leucemia acuta linfoblastica.
Qui inizia il calvario mio e della mia famiglia, costretta a trasferirsi in pianta stabile a Perugia, anche per essere sottoposti a tutti gli esami per stabilire la compatibilità del midollo; per un trapianto inevitabile per la guarigione. Nel giro di pochi giorni, inizio la chemioterapia e la radioterapia, e con esse cominciano le sofferenze Il tanto agognato trapianto di cellule staminali, con mia madre, avviene in aprile e a luglio, dopo sette mesi ininterrotti di dolore e sofferenza in ospedale, vengo dimesso per continuare le terapie giornaliere in regime di Day Hospital.
Dopo qualche mese dal trapianto sono tornato in servizio facendo un lavoro d’ufficio fino a quando, una volta ristabilito completamente, sono il nuovo stato impiegato senza limitazioni a bordo delle navi della marina militare. Questo il racconto, in breve, della mia malattia.
In questo momento, sono ancora in servizio attivo e mi trova svolgere un incarico che rappresenta una tappa fondamentale nella carriera di un ufficiale di marina: comandare una nave. In particolare con l’onore e il privilegio di essere il comandante di nave Aretusa, una moderna unità della marina militare che si occupa di rilievi nel campo idrografico ed oceanografico.
Il comando, come dicevo, rappresenta un momento importante nella mia vita professionale e ci sono arrivata dopo molti sacrifici, iniziate molti anni fa sui banchi dell’Accademia, e continuati poi in mezzo al mare sulle navi. Sembrerà strano, ma il motivo principale per cui scrivo nasce proprio dal raggiungimento di questo traguardo.
Un traguardo che non avrei raggiunto se, durante il percorso che ho seguito per ottenerlo, non avessi superato l’ostacolo più duro, quello della leucemia. Ricordo ancora le sue parole quando le chiesi quando sarei potuto tornare al lavoro e lei mi rispose, con tutta franchezza, che la malattia avrebbe potuto uccidermi ma che, con il vostro aiuto e la mia determinazione, avremmo potuto sconfiggerla. In effetti, così è stato, grazie all’aiuto del signore, all’amore di mia madre, alla mia forza d’animo e all’aiuto che voi, lei e suo valido staff mi avete dato. Dico questo senza retorica perché la mia riconoscenza nei vostri confronti e sincera e libera da ogni frase di circostanza.
Il rapporto che si era instaurato con il personale del reparto è stato fondamentale per darmi il coraggio e la forza per andare avanti. Nulla era lasciato al caso, la professionalità con la quale tutti hanno operato e continuano ad operare, è encomiabile.
In nessun momento mi sono sentito solo, abbandonato; ad ogni ora del giorno della notte c’era qualcuno pronto ad aiutarmi, disponibile anche ad ascoltare e a farmi sentire la sua presenza. Quando lei passava nella mia stanza, anche la domenica mattina, io mi sentivo sicuro, protetto e percepivo che c’era sempre qualcuno che si preoccupava per me.
Con il passare del tempo, proseguendo il controllo dei ospita, la sensazione che avevo avuto, fin dal primo momento, è stata confermata dell’impegno e della serietà di quanti vi lavorano ogni giorno per alleviare le sofferenze di chi è costretto dalla sorte a confrontarsi con la malattia.
La mia guarigione, quando arrivai a Perugia, in quel freddo inverno del 1999, non era cosa certa, ma voi ci avete creduto e sono sicuro che buona parte del merito va da voi che avete fatto in modo che la leucemia rimanesse, per me, un pallido ricordo del passato.
Credo sia inutile e ingiusto, in quest’occasione, fare dei nomi o ricordare qualcuno in particolar modo. Porto con me il ricordo di tutti quelli che, dal primo istante, ho sentito vicino e che mi hanno fatto capire che la scienza da sola non basta, ma che deve essere applicata con coscienza e passioni, sentimenti che dovrebbero essere sempre compagni di lavoro insostituibili, per colori quali hanno deciso di dedicare il proprio servizio al sostegno delle persone malate. Ringraziandola per l’attenzione che avrà voluto rivolgere a questa mia lettera, l’occasione delle prossime festività mi è propizia per fare pervenire a lei, ai suoi collaboratori e alle vostre famiglie i migliori auguri per un sereno Natale e fervidi auspici per un felice e favorevole anno nuovo.
Giovanni Lanuto