Presepe al Residence “Daniele Chianelli”
Anche quest’anno nella corte del Residence “Daniele Chianelli” è stato allestito il presepe dei Frati Francescani dell’Ospedale S. Maria della Misericordia di Perugia.
Anche quest’anno nella corte del Residence “Daniele Chianelli” è stato allestito il presepe dei Frati Francescani dell’Ospedale S. Maria della Misericordia di Perugia.
La Spezia, 10 Dicembre 2007
Egregio Professore, mi chiamo Giovanni Lanuto e le invio una lettera che avrei voluto scrivere molto tempo fa ma che non ho mai buttato giù, in attesa di trovare l’occasione giusta per farlo.
Ogni volta che ho preso in mano carta penna, infatti, mi sono domandato se è opportuno farlo o se, forse, era meglio desistere, evitando così di disturbare sottraendo tempo prezioso alle sue giornate. Oggi, invece, sono finalmente deciso, certo di aver trovato la giusta occasione per rivolgermi a lei e a tutti i suoi collaboratori che tanto avete fatto per me in passato.
A questo punto, credo sia d’obbligo fare un ordine per spiegare i motivi che mi hanno spinto a scrivere. Comincio il mio racconto dal gennaio 99 quando, trovandomi in licenza per alcuni giorni, (faccio l’ufficiale di Marina e passo lunghi periodi lontano da casa) mi recai in ospedale per un banale controllo della vista.
Sono invece ricoverato d’urgenza e con altrettanta urgenza, nel giro di poche ore, trasferito dal piccolo ospedale di Rieti al più attrezzato policlinico di Perugia. Diagnosi: leucemia acuta linfoblastica.
Qui inizia il calvario mio e della mia famiglia, costretta a trasferirsi in pianta stabile a Perugia, anche per essere sottoposti a tutti gli esami per stabilire la compatibilità del midollo; per un trapianto inevitabile per la guarigione. Nel giro di pochi giorni, inizio la chemioterapia e la radioterapia, e con esse cominciano le sofferenze Il tanto agognato trapianto di cellule staminali, con mia madre, avviene in aprile e a luglio, dopo sette mesi ininterrotti di dolore e sofferenza in ospedale, vengo dimesso per continuare le terapie giornaliere in regime di Day Hospital.
Dopo qualche mese dal trapianto sono tornato in servizio facendo un lavoro d’ufficio fino a quando, una volta ristabilito completamente, sono il nuovo stato impiegato senza limitazioni a bordo delle navi della marina militare. Questo il racconto, in breve, della mia malattia.
In questo momento, sono ancora in servizio attivo e mi trova svolgere un incarico che rappresenta una tappa fondamentale nella carriera di un ufficiale di marina: comandare una nave. In particolare con l’onore e il privilegio di essere il comandante di nave Aretusa, una moderna unità della marina militare che si occupa di rilievi nel campo idrografico ed oceanografico.
Il comando, come dicevo, rappresenta un momento importante nella mia vita professionale e ci sono arrivata dopo molti sacrifici, iniziate molti anni fa sui banchi dell’Accademia, e continuati poi in mezzo al mare sulle navi. Sembrerà strano, ma il motivo principale per cui scrivo nasce proprio dal raggiungimento di questo traguardo.
Un traguardo che non avrei raggiunto se, durante il percorso che ho seguito per ottenerlo, non avessi superato l’ostacolo più duro, quello della leucemia. Ricordo ancora le sue parole quando le chiesi quando sarei potuto tornare al lavoro e lei mi rispose, con tutta franchezza, che la malattia avrebbe potuto uccidermi ma che, con il vostro aiuto e la mia determinazione, avremmo potuto sconfiggerla. In effetti, così è stato, grazie all’aiuto del signore, all’amore di mia madre, alla mia forza d’animo e all’aiuto che voi, lei e suo valido staff mi avete dato. Dico questo senza retorica perché la mia riconoscenza nei vostri confronti e sincera e libera da ogni frase di circostanza.
Il rapporto che si era instaurato con il personale del reparto è stato fondamentale per darmi il coraggio e la forza per andare avanti. Nulla era lasciato al caso, la professionalità con la quale tutti hanno operato e continuano ad operare, è encomiabile.
In nessun momento mi sono sentito solo, abbandonato; ad ogni ora del giorno della notte c’era qualcuno pronto ad aiutarmi, disponibile anche ad ascoltare e a farmi sentire la sua presenza. Quando lei passava nella mia stanza, anche la domenica mattina, io mi sentivo sicuro, protetto e percepivo che c’era sempre qualcuno che si preoccupava per me.
Con il passare del tempo, proseguendo il controllo dei ospita, la sensazione che avevo avuto, fin dal primo momento, è stata confermata dell’impegno e della serietà di quanti vi lavorano ogni giorno per alleviare le sofferenze di chi è costretto dalla sorte a confrontarsi con la malattia.
La mia guarigione, quando arrivai a Perugia, in quel freddo inverno del 1999, non era cosa certa, ma voi ci avete creduto e sono sicuro che buona parte del merito va da voi che avete fatto in modo che la leucemia rimanesse, per me, un pallido ricordo del passato.
Credo sia inutile e ingiusto, in quest’occasione, fare dei nomi o ricordare qualcuno in particolar modo. Porto con me il ricordo di tutti quelli che, dal primo istante, ho sentito vicino e che mi hanno fatto capire che la scienza da sola non basta, ma che deve essere applicata con coscienza e passioni, sentimenti che dovrebbero essere sempre compagni di lavoro insostituibili, per colori quali hanno deciso di dedicare il proprio servizio al sostegno delle persone malate. Ringraziandola per l’attenzione che avrà voluto rivolgere a questa mia lettera, l’occasione delle prossime festività mi è propizia per fare pervenire a lei, ai suoi collaboratori e alle vostre famiglie i migliori auguri per un sereno Natale e fervidi auspici per un felice e favorevole anno nuovo.
Giovanni Lanuto
Da nove anni sono in remissione. La mia vita è tornata normale, gli impegni giornalieri mi coinvolgono sempre più, il lavoro mi appaga, i colori sono i miei compagni preferiti; la paura resta, la tristezza, a volte, si fa presente, ma resta la vita, resta l’amore, la libertà. E’ stata un’esperienza drammatica e, a volte, dolorosa, ma non ho mai avuto la minima intenzione di arrendermi, sono testimone di quanto coraggio, determinazione e voglia di vivere occorrano per combattere questo male, che ti entra dentro all’improvviso. Vorrei che, in queste mie pagine, qualcuno possa riconoscersi, almeno in parte, e accendere una nuova luce positiva sul fenomeno cancro. Ognuno è libero di credere, o non credere, al fato, nessuno può sapere chi; e cosa sia a decidere della nostra vita, ma ognuno di noi deve e dovrà imparare, in qualche modo, ad adattarsi a questa realtà. Scrivendo quotidianamente il diario non ho usato parole scientifiche, né termini medici, ma solo le sensazioni che il cuore mi dettava. Ho dovuto lottare contro il male e anche contro l’ignoranza della gente. La mia testa pelata, il mio cambiamento fisico, e lo sguardo spento imprestatomi dalla malattia sono stati motivi per cui la gente mi guardava, si voltava a guardarmi, mi segnalava con il gomito al vicino; c’è stato chi rideva, c’è stato anche chi non ha perso l’occasione di umiliarmi, allontanandosi al mio arrivo, e non mi sono mai spiegata come ci possano essere persone così cattive e anche male informate. Ora cerco di non pensare più a quei momenti, portando nel mio cuore ciò che di positivo ho avuto da questa esperienza, e cioè amore. Ho imparato ad amare cose che ritenevo banali, questo mio amore oggi lo dedico a chi ha bisogno, ho capito quanto sia importante trasmettere amore. Durante il mio ricovero sono stata tanto amata e rispettata, nessuno mi ha fatto sentire diversa. Non possiamo sempre generalizzare sulle strutture sanitarie e sui dottori, io sono stata fortunata. Non dimenticherò mai un giorno quando la mia forza stava sgretolandosi e la tristezza si stava impadronendo di me, pur avendo 36 anni, mi ritrovai bambina, con una terribile crisi di desiderio di avere mia madre accanto, ma lei era a casa, era troppo lontana, intervenne la dottoressa Felicini e con il suo amore di madre, oltre che il dottore, mi trasmise tutto il suo amore, mi sentii subito rasserenata e capii cosa significasse amore, non potrò mai dimenticare quel gesto. Roberta Lauri n i La caposala, la signora Lucia, non riuscirò mai a capire la sua età, è una bambina truccata da grande , anche il suo buon cuore lo dice. Se tutti gli ospedali potessero avere almeno una caposala così.
La dottoressa Pasqualucci, è difficile descriverla, molto professionale, ti faceva sentire serena solo guardandola . Per lei era “tutto OK”, forse aveva ragione.
La dottoressa Carotti , mi mette sog-gezione anche ora. E’ possibile avere tanta professionalità e tanto buon cuore? La dottoressa Barbabietola, per me è un angelo sceso in terra, è troppo modesta. “Fortunati tutti coloro che sono nelle sue mani”. La dottoressa Galluzzo, la sua presenza ti diceva che c’è vita oltre l’ospeda-le, la sua immagine, così curata, mi ha spinto a sognare. li dottor Di Ianni è stato un vero fratello, aveva ragione a dirmi che presto sarei andata al mare. Il dottor Tabilio, sono le sue vittorie a descriverlo, grazie.
La dottoressa Felicini, è nata al mo-mento giusto e opera nel posto giusto, basta un grazie?
Il Professor Martelli, che continui sempre le sue battaglie. Professore, le auguro di vincere al più presto la sua guerra.
Dottor Aversa, la sua persona rispecchia il suo nobile cuore.
Il dottor Terenzi , è stato il mio messaggero di buone notizie, non dimenticherò mai il 25 Agosto del 1992, grazie.
Il dottor Scarpelli, parla poco, ma ogni volta che riesce a farsi sentire, trasmette tutta la sua bontà.
La Signora Ivana, caposala al trapianto, è bello conoscerla, la sua apparente durezza ti aiuta a capire quan-to sia tenero il suo cuore.
Un grazie al personale del Day Hospital, al Martini, è il mio terzo fratello, per tutte le volte che mi ha incorag-giato, grazie.
Alla Francesca, grazie per la sua disponibilità.
La signora Elena, caposala del Day Hospital, grazie per tanta disponibilità, pazienza e affetto.
Agli infermieri del trapianto, in particolare a Giancarlo per il coraggio che mi ha dato e l’affetto che mi ha dimostrato.
Al Sig. Chianelli, Presidente dell’Associazione “Daniele Chianelli”, per tutto quello che sta facendo, e che farà, per l’opportunità che mi da ogni anno di aiutare l’associazione con la vendita delle stelle di Natale e le uova di Pasqua.
Roberta Laurini
Daniele entrò a far parte della mia classe in un caldo mattino d’autunno del 1986. Era un bel bambino di sette anni e, sebbene fosse quasi calvo a causa delle prime terapie, sul suo viso spiccavano grandi occhi neri, profondi e dolcissimi. Camminava male ed era impacciato nei movimenti, ma notai subito intelligenza viva e pronta. Tra noi si stabilì un’intesa affettuosa e sentii che, se pur bambino, possedeva una personalità ben definita e prepotente nell’imporsi agli altri e nel confrontarsi con il mondo che lo circondava. L’esperienza della malattia non aveva attutito l’allegria e la sua prorompente voglia di vivere e di sapere. I compagni lo accolsero con gioia, ma senza pietismo. perchè a loro volta attratti dal suo carattere aperto, e volentieri Io elessero amico, compagno, confidente. Quando era assente. nelle giornate fisse per la terapia di mantenimento, c’era un vuoto e si aspettava il suo ritorno per discutere, decidere, organizzare, approfondire. Per me fu l’ingresso in una realtà fatta di ansie dei genitori. di preoccupazioni per evitare contagi. dì scoperta della sofferenza vera, quella che conosci solo se la vivi in prima persona. Abbiamo trascorso un anno intero in cui Daniele gradualmente tornò ad essere un bambino normale: correva, saltava e perfino i capelli ricci e folti incorniciavano il suo bellissimo viso. Ricordo la festa del suo compleanno il 27 Maggio del 1988 sul terrazzo della sua casa. festeggiata con tutti i compagni tra foto brindisi e animata da tanto ottimismo e serenità. Quello che colpiva era la sua vitalità: la malattia sembrava un brutto ricordo passato, da seppellire e dimenticare. L’estate che seguì fu per Daniele bellissima, trascorsa con la stia famiglia in un viaggio che al ritorno non finiva mai dì raccontare. Mi affezionai a lui come a un figlio e si instaurò con i genitori un rapporto di amicizia e di fiducia reciproca. Anche l’anno successivo Daniele frequentò la terza classe elementare con ottimo profitto. La sua vita, ormai, era quella dì tutti gli altri bambini della sua età, anche se la maturità e la profondità dei suoi sentimenti lo distinguevano. Fu nel febbraio dell’ottantanove che, come un fulmine a ciel sereno, le analisi rivelarono una ricaduta della leucemia e nel nostro sbigottimento quello che sembrava un incubo passato diventò la cruda realtà. Ricordo la reazione dei compagni che, pur non comprendendo la gravità, vollero essergli vicini con il loro amore e la loro solidarietà. Incominciò un lungo calvario di sofferenza fatto di degenze lunghissime e brevi ritorni a Casa, persino a scuola, che Daniele ha vissuto con coraggio e determinazione certo come mai che la forza del suo spirito e la voglia di tornare a correre, saltare e scherzare con noi, avrebbe avuto la meglio sul male terribile che lo minacciava. Man mano che il tempo passava, mi accorgevo che la sofferenza affrontata con amore e sopportazione, ma soprattutto concreti, operava in me una trasformazione. Nelle lunghe ore trascorse accanto a lui in ospedale a leggere e studiare, perche la vita che pulsava fuori Della classe, con i suoi compagni, fosse presente e reale anche per lui, mi accorgevo che era lui a donare a me. Mi trasmetteva la sua forza ed io a mia volta ero capace di trasmetterla a lui più vera e viva. Quando pregava, ricordava gli Altri bambini, che come lui combattevano no nelle altre stanze, chiedeva a Dio di aiutarli: Eleonora, Marco, Francesco, Alessio, Affrontava analisi, terapie fortissime convinto di spuntarla e mentre lottava, io capivo che ci insegnava il valore del dolore, a vivere la fede in modo concreto. Tutte le persone che lo amavano e lo curavano, si sono strette intorno a lui, sperando ma soprattutto pre-gando. Ora che Daniele non è più con noi, io credo che ci abbia lasciato in eredità un grande dono, quello di averci fatto riscoprire il valore dell’amore e della solidarietà. I suoi genitori e quanti l’hanno ama-to e seguito non possono lasciare che vada perduto il suo esempio e il suo messaggio. Egli continuerà a vivere, se altri bambini saranno aiutati moralmente e materialmente a combattere il male fisico, in una catena che niente potrà spezzare.
È nato così e per questo il “COMITATO PER LA VITA” che porta il suo nome, ma sono certa che se potessi chiedere a Daniele come avrebbe chiamato questo atto di solidarietà, avrebbe risposto: “maestra, tutto questo é amore”.
Elisabetta Natella