Testimonanza della maestra di Daniele
Daniele entrò a far parte della mia classe in un caldo mattino d’autunno del 1986. Era un bel bambino di sette anni e, sebbene fosse quasi calvo a causa delle prime terapie, sul suo viso spiccavano grandi occhi neri, profondi e dolcissimi. Camminava male ed era impacciato nei movimenti, ma notai subito intelligenza viva e pronta. Tra noi si stabilì un’intesa affettuosa e sentii che, se pur bambino, possedeva una personalità ben definita e prepotente nell’imporsi agli altri e nel confrontarsi con il mondo che lo circondava. L’esperienza della malattia non aveva attutito l’allegria e la sua prorompente voglia di vivere e di sapere. I compagni lo accolsero con gioia, ma senza pietismo. perchè a loro volta attratti dal suo carattere aperto, e volentieri Io elessero amico, compagno, confidente. Quando era assente. nelle giornate fisse per la terapia di mantenimento, c’era un vuoto e si aspettava il suo ritorno per discutere, decidere, organizzare, approfondire. Per me fu l’ingresso in una realtà fatta di ansie dei genitori. di preoccupazioni per evitare contagi. dì scoperta della sofferenza vera, quella che conosci solo se la vivi in prima persona. Abbiamo trascorso un anno intero in cui Daniele gradualmente tornò ad essere un bambino normale: correva, saltava e perfino i capelli ricci e folti incorniciavano il suo bellissimo viso. Ricordo la festa del suo compleanno il 27 Maggio del 1988 sul terrazzo della sua casa. festeggiata con tutti i compagni tra foto brindisi e animata da tanto ottimismo e serenità. Quello che colpiva era la sua vitalità: la malattia sembrava un brutto ricordo passato, da seppellire e dimenticare. L’estate che seguì fu per Daniele bellissima, trascorsa con la stia famiglia in un viaggio che al ritorno non finiva mai dì raccontare. Mi affezionai a lui come a un figlio e si instaurò con i genitori un rapporto di amicizia e di fiducia reciproca. Anche l’anno successivo Daniele frequentò la terza classe elementare con ottimo profitto. La sua vita, ormai, era quella dì tutti gli altri bambini della sua età, anche se la maturità e la profondità dei suoi sentimenti lo distinguevano. Fu nel febbraio dell’ottantanove che, come un fulmine a ciel sereno, le analisi rivelarono una ricaduta della leucemia e nel nostro sbigottimento quello che sembrava un incubo passato diventò la cruda realtà. Ricordo la reazione dei compagni che, pur non comprendendo la gravità, vollero essergli vicini con il loro amore e la loro solidarietà. Incominciò un lungo calvario di sofferenza fatto di degenze lunghissime e brevi ritorni a Casa, persino a scuola, che Daniele ha vissuto con coraggio e determinazione certo come mai che la forza del suo spirito e la voglia di tornare a correre, saltare e scherzare con noi, avrebbe avuto la meglio sul male terribile che lo minacciava. Man mano che il tempo passava, mi accorgevo che la sofferenza affrontata con amore e sopportazione, ma soprattutto concreti, operava in me una trasformazione. Nelle lunghe ore trascorse accanto a lui in ospedale a leggere e studiare, perche la vita che pulsava fuori Della classe, con i suoi compagni, fosse presente e reale anche per lui, mi accorgevo che era lui a donare a me. Mi trasmetteva la sua forza ed io a mia volta ero capace di trasmetterla a lui più vera e viva. Quando pregava, ricordava gli Altri bambini, che come lui combattevano no nelle altre stanze, chiedeva a Dio di aiutarli: Eleonora, Marco, Francesco, Alessio, Affrontava analisi, terapie fortissime convinto di spuntarla e mentre lottava, io capivo che ci insegnava il valore del dolore, a vivere la fede in modo concreto. Tutte le persone che lo amavano e lo curavano, si sono strette intorno a lui, sperando ma soprattutto pre-gando. Ora che Daniele non è più con noi, io credo che ci abbia lasciato in eredità un grande dono, quello di averci fatto riscoprire il valore dell’amore e della solidarietà. I suoi genitori e quanti l’hanno ama-to e seguito non possono lasciare che vada perduto il suo esempio e il suo messaggio. Egli continuerà a vivere, se altri bambini saranno aiutati moralmente e materialmente a combattere il male fisico, in una catena che niente potrà spezzare.
È nato così e per questo il “COMITATO PER LA VITA” che porta il suo nome, ma sono certa che se potessi chiedere a Daniele come avrebbe chiamato questo atto di solidarietà, avrebbe risposto: “maestra, tutto questo é amore”.
Elisabetta Natella